martedì 14 gennaio 2014

La forza del capitale umano

"La ricchezza delle nazioni non dipende più dalle materie prime. O dal capitale fisico. Sta invece nel capitale umano" (Goldin, C., Katz, L.F., Race between Education and Technology, Belknap Press of Harvard University Press, 2010). Citazione desunta dall'ultimo libro di Beppe Severgnini, "Italiani di domani. 8 porte sul futuro" (RCS Libri, 2012, p. 47).
 
E ancora, Jared Diamond, nel suo ormai celeberrimo saggio "Armi, acciaio e malattie" (Einaudi, 2006), sostiene che il successo delle civiltà europee (almeno dal XVI alla prima metà del XX secolo) e della cultura occidentale in generale non è dovuto ad una presunta superiorità intellettuale o biologica, bensì a una serie di congiunture favorevoli, geografiche e ambientali, che hanno favorito lo sviluppo dell'agricoltura e la domesticazione degli animali, con la conseguente comparsa degli strumenti con i quali hanno "conquistato il mondo", appunto armi, acciaio e malattie. Pertanto, non esistono e mai sono esistite differenze intellettive tra i popoli della Terra, visto che probabilmente, a condizioni invertite, sarebbe stato Montezuma a sbarcare in Europa con navi oceaniche e a soggiogare l'impero di Carlo V di Spagna.
 
Il recente rapporto McKinsey, poi, condotto su otto Paesi Ue, ("Education to Employment: Getting Europe’s Youth into Work") contiene una serie di informazioni già note (si vedano alcune indagini ISTAT o l'allarme di Visco), ma anche una serie di novità (traduco citando l'articolo del "Corriere"): "Il 47% dei datori di lavoro italiani riferiscono che le loro aziende sono danneggiate dalla loro incapacità di trovare i lavoratori giusti, e questa è la percentuale più alta fra tutti i Paesi esaminati", "Ci sono abbinamenti sbagliati, educatori e imprenditori non stanno comunicando fra loro".
 
Si tratta solo di alcuni degli spunti che mi hanno portato a riflettere su questo aspetto. Nel nostro Paese il capitale umano, al pari di termini come "competenza" e "formazione", sembra essere una espressione ottima da sventolare in occasioni importanti, mentre la Scuola un "contenitore" fatto di numeri (quanti insegnanti assumere o tagliare, quante scuole ristrutturare, quante LIM far acquistare, ecc.). Poca attenzione viene data al capitale umano che è presente nei nostri istituti che si occupano di istruzione e formazione. E non mi riferisco solo agli insegnanti, al personale amministrativo in generale, ai dirigenti, ma ai ragazzi. Non esistono commissioni, tavoli, comitati che riuniscano le migliori menti per affrontare il problema della crescita culturale, sociale e professionale dei "lavoratori di domani" (presenti e futuri). Il capitale umano è da sempre il cuore di una civiltà e i Paesi che hanno investito con prospettive "non politiche", cioè almeno a medio termine, stanno raccogliendo i frutti (penso a Cina, Giappone, India, ma anche a Stati Uniti e nazioni scandinave). In Italia non abbiamo ancora presente un concetto, banale si dirà, ma proprio per questo difficile da mettere in pratica: istruzione, formazione e lavoro sono tre lati di un'unica figura poliedrica che ha al centro l'apprendimento permanente. Come ho già scritto, gli esseri umani apprendono sempre, ovunque, con chiunque, e, in percentuale, sicuramente più spesso fuori dalle "istituzioni preposte" (al bar, in parrocchia, al lavoro, nel tempo libero, su Internet). Tutte queste "cose" che imparano si chiamano "competenze". Il termine ha come riferimento svariate scuole di pensiero, ma, a mio avviso, la definizione contenuta nella Raccomandazione del Parlamento europeo del Consiglio del 23 aprile 2008, sulla costituzione del Quadro europeo delle qualifiche per l'apprendimento permanente (EQF), è la più completa: "comprovata capacità di utilizzare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e personale". Progettare e insegnare per competenze non rientra nel background culturale del nostro Paese a differenza, per esempio, di quelli di matrice anglosassone. Nella scuola italiana, comunque, è ormai consolidata questa impostazione nella didattica delle lingue straniere, o glottodidattica, dal 2001, anno in cui è stato pubblicato e diffuso il "Common European Framework of Reference for Languages" (CEFR), anche se poco è cambiato nella realtà dei fatti e dell'aula (si programma con il "Framework", spesso si insegna con altro). E' necessario un radicale cambio di rotta a partire dalle Istituzioni. Il Decreto Legislativo n. 13 del 16/012013 ha segnato un primo passo dopo anni di discussione tra Ministeri e Regioni, ma molto è ancora da fare e molto, però, si sta facendo, anche se l'Amministrazione centrale pone freni e distinguo. Impostare il nostro sistema nazionale di istruzione e formazione sulle "competenze" significa partire dai "saperi" a tutto tondo, senza lasciare nulla per strada. Non solo quelli cosiddetti "tecnico-professionali", ma anche quelli di base (anche qui viene in aiuto l'Unione europea con le "key competences") e quelli acquisiti tutti i giorni, tutto l'anno. Il sistema dove tutti parlano uno stesso linguaggio e le Istituzioni (Scuola, Stato, Regioni e poi Centri per l'impiego, Organismi di Formazione, ecc.) "prendono in carico" il cittadino e il suo percorso di apprendimento dalla nascita fino a una "vecchiaia attiva". La forza del capitale umano sta proprio qui, nella possibilità di essere il vero e unico motore della ripresa del Paese: il cuore e il cervello di questa nostra nazione unica, imprevedibile, a volte maledetta, ma piena di risorse, spesso nascoste, che risiedono nei suoi abitanti, da nord a sud, nelle grandi città come nei piccoli centri.
 
Chiudo con una citazione di Alvin Toffler che, a mio parere, andrebbe messa in ogni Ufficio di Presidenti, Ministri, Assessori, Sindaci: "Gli analfabeti del XXI secolo non saranno quelli che non sapranno leggere e scrivere, ma quelli che non saranno in grado di imparare, disimparare e reimparare" ("The illiterate of the 21st century will not be those who cannot read and write, but those who cannot learn, unlearn, and relearn", The future shock, 1970).

 

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