mercoledì 12 settembre 2012

Toolbox - ClassMarker

ClassMarker (link)

  • Descrizione: Creare e Gestire Test e Quiz
  • Skill: comprensione orale, comprensione e produzione scritta
  • Ordine di scuola: scuola primaria, scuola secondaria di I e II grado

Dal sito ufficiale: "web-based testing service is an easy-to-use, customizable online test maker for business, training & educational assessment with tests and quizzes graded instantly".

Segnalazione (via Catepol e Giuseppe Granieri): il post "This is your brain on the Internet (maybe)" di Kyle Hill.
   

sabato 18 agosto 2012

La certificazione di Snoopy

O di esistenza in vita, utilizzando un'espressione cara alla mia ex-coinquilina di stanza. Come sapete, lavoro presso una PA, nello specifico, comparto Regioni ed Autonomie Locali, e da tempo sto osservando un fenomeno tipico dell'amministrazione pubblica. La "certificazione di Snoopy" (o di esistenza in vita), appunto, che non si riferisce alla cosiddetta "sindrome di Snoopy", cioè l'incertezza e l'indecisione croniche, bensì prende origine da una striscia dei Peanuts di alcuni anni fa. In una serie di vignette (mi pare di ricordare su due pagine), Snoopy abbaia in continuazione. Nell'ultima, si rivolge al lettore dicendo che lo ha fatto per testimoniare al mondo la sua esistenza. Bene, questo accade ogni giorno negli uffici. Ovviamente i dirigenti, i funzionari e gli impiegati non passano la giornata latrando a squarciagola, però impongono una serie di "ma", "però", "un attimo", "devo verificare", ecc., spesso per giustificare o salvaguardare un ruolo o una posizione. A questa quotidiana abitudine, se ne aggiunge un'altra che da essa discende: la scarsa circolazione di dati e informazioni all'interno della stessa struttura. Sono affascinato dalla caparbietà e dalla costanza con cui vengono difesi gli orticelli privati (a volte anche le scrivanie e le sedie) da spiacevoli intrusioni. Una richiesta di informazioni o scambio di pratiche, di solito, è considerata come tentativo di invasione, ma dato che ai colleghi non si può rispondere picche come lo si farebbe al cittadino, vengono adottate varie strategie di guerriglia per sfiancare il richiedente. Quando assisto o mi trovo protagonista di certe scene, non posso non pensare alla battaglia dell'amico Ernesto sugli open data e l'open government e sulla "digitalizzazione" della PA (ne approfitto per segnalare la sua ultima fatica, il nuovo blog "The next gov") o all'impegno di altri amici che, in giro per l'Italia, lavorano per diffondere una nuova cultura digitale del nostro Paese (a questo proposito, via Catepol, segnalo il "Vademecum Pubblica Amministrazione e Social Media"). Il primo problema strutturale da risolvere è aprire le porte degli Uffici e liberare la circolazione dei dati all'interno della PA stessa, annientando per sempre la cultura tipica dell'equazione "informazione non data = potere per chi la possiede". A me hanno insegnato (la mia famiglia è composta in gran parte di professori, maestri, ecc.) che la conoscenza è un bene comune, come scrivevo tempo fa, e non solo quella tipica della formazione, ma anche tutto l'apparato delle informazioni che non possono essere a disposizione di pochi "eletti". Bisogna partire da una nuova cultura del pubblico impiego (non la brunettiana, e di recente forneriana, caccia alle streghe e ai fannulloni) per diffondere un modus operandi che travalichi l'orticello circondato da alti steccati, poiché in questo modo non potrà mai produrre buoni frutti per i principali committenti della PA e cioè i cittadini. In molti casi, è desolante constatare come la politica (lontana migliaia di anni luce dalla politiké koinonía artistotelica) abbia da decenni intaccato le fondamenta del pubblico, a tutti i livelli, e, di conseguenza, come di esso disponga a proprio piacimento, incurante di un concetto che potrebbe veramente fare la differenza: la parola magica a cui mi riferisco è "programmazione". Quindi, liberiamo i dati, liberiamo dirigenti e funzionari, liberiamo il pubblico impiego dalle catene che si è auto-imposto. Tutti i miei colleghi sono persone che fanno con onestà e dedizione il proprio lavoro, ma a volte l'ambiente rende difficile guardare oltre la soglia dell'ufficio. Può sembrare una ovvietà, ma dall'interno appare ancora più evidente come la dorsale sulla quale si sono, per anni, innestate tutte le inefficienze e gli errori è l'endemica superficialità, unitamente alla miopia programmatoria, con cui la burocrazia malata di egocentrismo infetta la gestione / amministrazione della "cosa pubblica".

In questo periodo si parla tanto di revisione della spesa (preferisco l'espressione italiana) e io vorrei dare un mio contriubuto. Cosa eliminare? Beh, per me è facile: l'utilizzo estensivo della carta. Si usano montagne di carta, foreste intere. Esistono sistemi informativi di gestione in cui vengono caricati tutti i documenti, ma per completare ogni operazione ci vuole sempre la carta. Anche se da poco si usano tristi fogli giallognoli riciclati (stile cablo della Gemania dell'Est prima della caduta del muro di Berlino), è sempre carta. E ce n'è tanta. Decine e decine di faldoni. Ovunque. La cosa buffa è che anche la giurassica Commissione europea vuole sempre la carta. Amica, amante e compagna, rassicurante come la coperta di Linus. Quindi, il percorso è lungo, molto lungo, oltre ad essere tortuoso e disseminato di trappole e ostacoli. Del digitale, cari amici, fin nel profondo della Pubblica Amministrazione, al di là di dichiarazioni di facciata e almeno per ora, non si fida proprio nessuno.
 

venerdì 1 giugno 2012

Agenda Digitale Italiana

Alcune riflessioni sull'agenda digitale italiana e sulle iniziative per la scuola ad essa collegate (gruppo di lavoro "Informatizzazione digitale e competenze digitali"), di cui riporto testualmente il primo obiettivo: "estendere il modello della scuola digitale (banda larga per la didattica nelle scuole; cloud per la didattica; trasformare gli ambienti di apprendimento; contenuti digitali e libri di testo /adozioni; formazione degli insegnanti in ambiente di blended e-learning; LIM – e-book; e-participation...)". Belle parole, molto trendy, ma vuote. Anche l'espressione "formazione degli insegnanti in ambiente blended e-learning" è molto accattivante, ma mi scatena un'immediata domanda: "formazione su cosa?". Se da un lato l'iniziativa è meritoria nelle intenzioni, dall'altro sono desolato nel constatare una realtà vecchia che emerge dai contenuti (almeno per me, naturalmente). In perfetta sintonia e continuità con il passato, si pensa agli insegnanti come alunni discoli che devono mettersi in riga e alla scuola e alla formazione come contenitori in cui "versare" la tecnologia. L'altro ieri, audio e video cassette; ieri PC e Internet; oggi LIM, e-book, tablet; domani chissà. Come se bastasse riempire un'aula di "giocattoli" per assicurare la buona riuscita dei processi di appendimento. Accidenti! Mi è scappata una parola che forse è antiquata, vecchia e polverosa. Però a me piace e la ripeto: "apprendimento". In questo blog ne ho parlato spesso. La tecnologia è "buona" solo se produce apprendimento in un contesto organico di programmazione didattica ed educativa. Da sola non ne è garanzia e mai lo sarà (con buona pace di sciamani digitali e nuovi profeti). E' buona se diventa strumento plasmabile nelle mani del cittadino per l'acquisizione di competenze, intese in termini di abilità/capacità e conoscenze, così come previsto dalla Raccomandazione del Parlamento e del Consiglio sul sistema EQF (a proposito è questa l'Europa che mi piace, qui il testo originale dell'atto), con lo scopo di un "apprendimento permanente", che non inizia e finisce a scuola o all'università, o peggio che non va oltre il suono della campanella o un esame, ma continua ogni giorno, tutti i gorni (non va dimenticato che, in quest'ottica, il tanto bistrattato libro è, comunque, una tecnologia). Il progetto digitale per il nostro sistema di istruzione e formazione deve partire da una "pedagogia delle tecnologie educative" per permettere a tutti di imparare, ma anche di generare conoscenza, sempre e ovunque, in maniera consapevole e digitally wise. La ricetta, se mi si passa il termine, che propongo è sempre la stessa (questa volta con una metafora automobilistica): non si dovrebbe mai partire dal pit-stop (le tecnologie), ma dai semafori che da rossi diventano verdi sopra la linea dello start (la pedagogia, il progetto educativo), utilizzando le soste (i pit-stop, appunto) per migliorare le performance di macchina (il discente / il cittadino) e pilota (il docente / l'educatore / il formatore) e arrivare, quindi, per primi alla bandiera a scacchi.
   

venerdì 25 maggio 2012

Tecnologie e didattica delle lingue

Ho appena finito di leggere un buon libro, di cui ho dato conto in un post precedente. Il testo si intitola "Tecnologie e didattica delle lingue. Teorie, risorse, sperimentazioni", a cura di Fabio Caon e Graziano Serragiotto, Torino, UTET Università, 2012. Il volume, come si legge nella prefazione, ha un'appendice online, nelle sezioni "Itals" e "Ladils" del portale del "Centro di Didattica delle Lingue" dell'Università Ca' Foscari di Venezia, per aggiornamenti, esemplificazioni e materiali integrativi. Il saggio, sebbene abbia i connotati e i contenuti del classico lavoro di stampo accademico, è una buona guida, abbastanza completa sulla materia. Le sezioni sono tre: "Coordinate teoriche", con una serie di contributi sul rapporto tra glottodidattica e tecnologie, oltre ad analisi degli aspetti neuroscentifici e al ruolo dei docenti in questo contesto, sia come fruitori (formazione e aggiornamento professionale), sia come utilizzatori/facilitatori; "Risorse e strumenti", con una rassegna dei principali "nuovi attrezzi" a disposizione del docente di lingue, tra cui LIM, i tablet, il rapporto tra CLIL e YouTube, l'e-tandem come ambiente per la comunicazione in LS, materiali e applicativi web per la didattica; "Sperimentazioni", che contiene tre esempi di progetti ben articolati sul tema. E' una lettura molto interessante e la consiglio a chi ha voglia di approfondire il rapporto tra glottodidattica e tecnologie educative.

Riporto, poi, due iniziative: una dell'Ue per insegnare Internet ai bambini ed educarli a un uso consapevole della Rete  (speriamo che dalle belle parole si passi ai fatti, soprattutto nell'applicazione di questi princìpi negli Stati Membri e, nello specifico, in Italia); l'altra chiamata "BilFam. Let's become a bilingual family", sperimentazione curata dall'Università "La Sapienza" a cui partecipano 125 nuclei familiari, da 5 diversi paesi (qui il sito dedicato) che "utilizza un modello già sperimentato con successo in 120 scuole dell'infanzia e primarie, adattandolo al contesto familiare"; l'obiettivo è coinvolgendo le famiglie  per imparare almeno un'altra lingua oltre alla materna, fondando il processo di apprendimento sulla dimensione domestica e quotidiana.

E ora il consueto spazio delle segnalazioni riferite alle settimane successive l'ultimo post:

- il numero 78 (marzo/aprile) di Form@re che affronta un tema cruciale in fatto di tecnologie didattiche, in questo caso legato alle LIM, e cioè la questione della reale l'efficacia di tale strumento per migliorare la qualità dell'apprendimento e, collegato a questo, l'articolo del corriere su una ricerca condotta da GfK Eurisko per l’editore Pearson Italia sugli effetti positivi della LIM sull'apprendimento (indagine condotta su un campione di docenti intervistati);

- il canale YouTube, Shakespeare Animated, con 12 opere del drammaturgo inglese sotto forma di cartone animato e sottotitolate (da andare a sbirciare assolutamente, in basso embedo il primo dei tre video di "Macbeth", la mia preferita);

- il solito stimolante post di Gianni Marconato dal titolo "La grande sfida della didattica: motivare i ragazzi";

- il lavoro realizzato da parte del curatore dell'ottimo blog "Free technolgy for teachers", dal titolo "Google Drive and Documents for teachers", con una serie di interessanti spunti per le attività in classe;

- il resoconto di un esperimento realizzato a Pesaro presso la Scuola Materna “Missionarie Della Fanciulezza”, per l’utilizzo dell’iPad per insegnare l’inglese ai bambini dai 3 ai 6 anni;

- un post apparentemente provocatorio, ma molto ricco di sostanza di Mario Rotta, dal titolo "La nausea sociale", sui rischi legati a un overload, si potrebbe dire, di social media;

- tramite Webeconoscenza, l'illuminante, sintetico e very anglosaxon "Government Digital Service Design Principles", da parte del governo di Sua Maestà (UK), di cui riporto l'elenco tanto per avere un'idea di cosa si tratta: "Start with needs; Do less; Design with data; Do the hard work to make it simple; Iterate. Then iterate again; Build for inclusion; Understand context; Build digital services, not websites; Be consistent, not uniform; Make things open: it makes things better";

- gli atti dell'VIII Congresso SIEL (2011), dal titolo "Connessi! Scenari di innovazione nella fromazione e nella comunicazione".

venerdì 30 marzo 2012

Toolbox - Weebly for education

Benvenuti.

Inauguro il "nuovo" blog con un "servizo" che prende spunto da un lavoro svolto per la tesi. Si tratta di toolbox, letteralmente "cassetta degli attrezzi". Durante i tre anni di dottorato, ho spulciato qua e là, utilizzando svariate fonti, molti “web-based tool” (utilizzabili tramite il solo “browser” senza l’installazione di alcun software), scelti, visionati e testati, ed essenzialmente free o, al massimo, con alcuni servizi potenziati a pagamento che, però, non vanno a incidere in maniera considerevole su quelli di base. Questi strumenti sono stati analizzati per essere applicati nel campo della didattica delle lingue, al fine di ampliare le possibili opzioni operative a disposizione del docente.

Per ogni tool, predisporrò una scheda che conterrà:
  • una breve descrizione dello strumento con le potenzialità didattiche;
  • la/e skill linguistica/e che per il cui potenziamento può essere utilizzato;
  • l'ordine di scuola in cui può essere più utile.

Non verranno presi in considerazione servizi come quelli di Blogger, Delicious, Flickr, Google, Facebook, Scribd, Slideshare, Twitter, Wikipedia, Wordpress, YouTube, ecc.; insomma i più conosciuti, in quanto su di essi esiste una vasta letteratura su sperimentazioni, progetti, suggerimenti, e così via. L'attenzione verterà su tool meno diffusi, ma altrettanto innovativi e interessanti, anche per le attività che possono facilitare in "appoggio", in alcuni casi, ai più "blasonati".

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Per questo primo post, il tool presentato è: "Weebly for education"

  • Descrizione: Creare siti web e gestire un ambiente educativo di classe
  • Skill: comprensione e produzione orale, comprensione e produzione scritta
  • Ordine di scuola: scuola primaria, scuola secondaria di I e II grado

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E ora alcune Segnalazioni:

- esempi di scuola virtuosa in "L'innovazione sale in cattedra" e, via Catepol, i 4 progetti italiani premiati per l'e-twinning, tra cui il Liceo Classico "E. Duni" di Matera con il progetto "A taste of Maths", di Maria Teresa Asprella (bravi!!!); 

- un interessante articolo da "Education 2.0" dal titolo: "Podcasting e apprendimento delle lingue straniere";

- il lavoro di Gianni Marconato, "Usare Moodle. Manuale di didattica";

- 5 modi per usare la tecnologia wiki nella didattica.

Chiudo con un bel video, che ho trovato grazie a Webeconoscenza, su una buona pratica di digital literacy: How to use Twitter.



mercoledì 7 marzo 2012

Il miracolo delle tecnologie


Sono stati giorni molto ricchi di spunti e di riflessioni e poiché, come sapete, ho l'abitudine di scrivere solo se e quando ne sento il bisogno, avendone adesso una impellente necessità (anche far tacere i vari campanelli che trillano in testa), raccomando ai pazienti lettori di armarsi di un'ulteriore buona predisposizione d'animo, in quanto il post è lungo e si conclude con una serie di appunti e segnalazioni.

Il miracolo parte dai ragionamenti sul rapporto tra tecnologie e didattica/appendimento che iniziano a travalicare i confini dei tecnici e dei ricercatori, attirando l'attenzione dei media in generale, anche se con deviazioni un pò grossolane e semplicistiche. Ma va bene così. L'importante è aumentare il volume della discussione. Gli strumenti cambiano e si evolvono rapidamente. E' ancora aperto il dibattito sul social web in generale e, da poco tempo, sugli smartphone, che un altro device si profila all'orizzonte: i tablet. Un'interessante panoramica / riflessione è offerta da una video-intervista di Mario Riotta. Il ricercatore sostiene, a ragione, che il rischio è di utilizzare questi dispositivi in maniera anche molto tradizionale (classici tool per la visualizzazione di contenuti strutturati e statici). In tal caso, non serve investire tante risorse da parte delle istituzioni educative e formative (la spesa è comunque rilevante anche se si vuole far lavorare due utenti per tablet), allora tanto vale non utilizzarli. Se, invece, si vuole produrre un impatto metodologico significativo, bisogna introdurre questi dispositivi (riflessione che, ovviamente, si estende a tutti, e cioè i PC, i notebook, le LIM, gli smartphone, le applicazioni del social web, ecc.) in maniera contestuale per generare cambiamenti nel modo di fare scuola/formazione, nell'organizzazione della scuola/formazione stessa e della didattica in generale, nel modo in cui lo studente studia, nel modo in cui l'insegnante insegna e nei modi in cui studente e insegnante interagiscono tra loro. In linea potenziale, questi cambiamenti potrebbero, poi, produrre un impatto epistemologico, portando a forme di apprendimento (che Riotta definisce, utilizzando un'espressione molto azzeccata, "cloud learning") basate su mobilità, integrazione, sincronizzazione tra risorse e utenti. Ciò potrebbe (si spera) mettere in crisi il sistema consolidato attualmente in vigore nell'istruzione e nella formazione, per impostare una nuova metodologia a tutto tondo. Numerose sono le ricerche (compresa quella di Riotta in una scuola di Bergamo) che mirano a verificare se l'utilizzo contestuale di tali dispositivi e applicazioni possa comportare un impatto cognitivo significativo, permettendo l'acquisizione di competenze di livello qualitativo migliore rispetto alla "didattica tradizionale". E' certo che il dispositivo in sé non agevola una buona didattica. Sono altri gli elementi ad apportare benefici nelle modalità in cui dispositivi, persone e contesto (la quotidianità di fare scuola) entrano in relazione tra loro. L'obiettivo più cogente, comunque, è introdurre e diffondere un nuovo modo di apprendere: superare i concetti di scuola e formazione collocate in un tempo e in uno spazio rigorosi e delimitati ed entrare in un'ottica di mobilità e di permenenza in rete per tutto l'arco della vita (una formazione continua senza pareti).

E qui veniamo a un aspetto che mi sta molto a cuore e cioè il superamento dell'annosa dicotomia tra "nativi digitali" e "immigrati digitali". Un primo passo è quello di accettare, come esposto da Gianni Marconato in un suo post, l'esistenza di una decima intelligenza, ulteriore rispetto alle nove individuate da Gardner, caratterizzata da una serie di abilità differenti, tra cui gestire le opzioni di scelta (su Internet o verso una qualunque navigazione di tipo ipertestuale), applicare il multitasking, selezionare e connettere logicamente le informazioni per creare nuova conoscenza, ecc. Da qui, il passaggio al concetto di "digital wisdom", introdotto dallo stesso Prensky per annullare il gap generazionale, è immediato. La saggezza digitale è quell'insieme di competenze che permette a un utente, giovane o anziano, di usare le tecnologie in modo consapevole, presupponendo una serie di abilità che, è bene tenerlo presente, non sono immediate, nella loro "attuazione consapevole", da parte dei "nativi digitali": navigare all'interno dei network, condividere conoscenza in un ampio sistema di intelligenza collettiva, negoziare concetti e la propria presenza in rete, gestire nuovi modi e ritmi di comunicazione, gestire i maggiori livelli di autonomia (soprattutto nello studio e nell'apprendimento), gestire le informazioni, discernendo le fonti.

A tal proposito, i risultati di uno studio condotto da alcuni ricercatori della NorthWestern University di Chicago (“Trust online: young adults’ evaluation of Web Content”) che ha interessato circa un migliaio di giovani americani tra i 18 e i 20 anni, hanno messo in evidenza alcune tendenze da non sottovalutare nel rapporto tra conoscenza, Internet e "nativi digitali": la rete è lo strumento maggiormente utilizzato per le ricerche; l’attendibilità di quanto trovato e delle fonti non è una questione avvertita come necessaria; i motori di ricerca sono visti come dispensatori di verità assolute e indiscutibili; scarsa conoscenza dei principi regolatori degli algoritmi di ricerca; affidamento immediato sul primo risultato, in ordine di apparizione, sulla pagina del motore di ricerca utilizzato; scarsa capacità di discernere tra pubblicità e link in primo piano; indifferenza verso gli autori dei materiali reperiti online; maglie larghe nei confronti del “cut and paste” selvaggio, effettuato con disinvoltura. Ragion per cui, facendo ammenda anche io stesso, non voglio più sentire parlare né di "nativi digitali", né di "immigrati digitali", essendo queste due categorie che non esistono, o meglio, esistono e si fondono senza possedere quei contorni definiti e rigidi spesso categorizzati.

Sempre Marconato, nel suo post, auspica che si possa "avvicinare in età precoce i bambini all’uso del computer in modo che, in analogia con quanto avviene con l’apprendimento precoce delle lingue, si sviluppi al meglio anche questa forma di interazione con la realtà". A questo proposito, in Italia c'è un'ulteriore questione. In un recente articolo apparso sul quotidiano la Repubblica, "Il mondo degli iperpoliglotti" (edizione di giovedì 23/02/2012), si fa riferimento al ritardo del nostro paese sul multilinguismo, ma anche sul "monolinguismo" (in questo caso dell'inglese) aggiungo io, e ai livelli bassi di conoscenza di una o più lingue straniere da parte dei cittadini, nonostante gli innumerevoli documenti programmatici sul tema da parte dell'Ue, a partire dal Barcellona 2002, in cui si auspica, per ogni cittadino dell'Unione, la conoscenza di almeno due lingue straniere, oltre a quella materna. Il multilinguismo sembra essere una necessità oramai imprescindibile, ma la sensibilità, in Italia, è abbastanza annacquata (basti vedere i numerosi tagli di ore, cattedre e quant'altro effettuati in questi anni a livello governativo). Eppure, il nostro cervello è naturalmente predisposto, almeno fino all'età puberale, all'acquisizione contemporanea di più idiomi (addirittura, secondo alcuni studi, fino a 10/11). Inoltre, concetti come "società della conoscenza", competenze dei "nativi digitali", "dieta mediale", ecc., sono intimamente legati all'importanza della conoscenza di più lingue visto che le opportunità digitali a disposizione si incrementano in maniera esponenziale e le possibilità di entrare in contatto con altre culture sono praticamente dietro ogni angolo. Il rapporto tra tecnologie e didattica delle lingue, quindi, è molto stretto, ma anche molto poco studiato soprattutto in termini di impostazione didattica, approccio e metodologica diversi.

Ripensare a questi aspetti, "saggezza digitale" e "multilinguismo", in modo integrato come impostazione nuova di fare scuola e formazione è un must che deve realizzarsi in fretta. Fare una ricerca su "Google" sul romanzo "Oliver Twist" di Dickens, per esempio, implica avere a che fare con quasi 10 milioni di risultati. Orientarsi in questo oceano di informazioni impone la padronanza di tutte quelle competenze "digitali" citate prima, oltre a quelle di natura più prettamente linguistica. E non basta copiare il primo record (che guarda caso è quello di Wikipedia). Se i nostri ragazzi riuscissero ad andare almeno fino alla pagina 5, leggendo e confrontando, o ad affinare la ricerca con l'inserimento consapevole di adeguate parole chiave, avremmo raggiunto già un buon risultato. 

Un’ultima considerazione riguarda l’ipotesi di una radicale riorganizzazione spaziale dell’aula di lingua straniera per ottenere un ambiente formativo integrato, arricchito digitalmente (questo, ovviamente, può applicarsi a tutte le tipologie di aula). Secondo Cyprien Lomas e Diana G. Oblinger, un learning space adeguato alle caratteristiche degli studenti del XXI secolo può essere definito: “digital, mobile, independent, participatory, social, flexible, ubiquitously, accessibile”. La classe, quindi, va ripensata in quanto ponte tra l’apprendimento formale e quello informale, che avviene al di fuori delle mura scolastiche. Un esempio di geometria è presente nell’articolo di Carlos Melero, Lingue straniere e tablets, (numero 8-9 del 2011 della Rivista "Scuola e Lingue Moderne - SeLM", p. 46-51). Partendo dalle sue riflessioni, io mi spingerei oltre, immaginando un "ambiente di apprendimento" (nell'accezione descritta dal Wilson nel 1996) a “geometria variabile” (come suggerisce Ferri in molti suoi scritti) con banchi mobili e ricombinabili disposti a isole di 4/5 unità (con PC o tablet o notebook), dotate di web-cam e collegate a Internet, senza tralasciare di garantire la possibilità di effettuare diverse attività, sia tradizionali, sia cooperative o collaborative. La presenza di svariate tipologie di dispositivi deve riprodurre, per quanto possibile, l’ambiente digitale domestico degli studenti, in modo che il lavoro in aula e a casa abbia elementi di continuità (un interessante elenco di elementi costitutivi di una scuola 2.0 è in un post di Will Richardson).

Chiudo, quotando, per intero, un pezzo di un ennesimo interessantissimo post di Gianni Marconato, a cui vanno sempre i miei sentiti ringraziamenti per gli innumerevoli spunti che mi offre (e che mi ha offerto durante la redazione della tesi), sui libri digitali:


"Le risorse didattiche da usare, il loro ruolo, i modi in cui si usano sono strettamente legati all’idea che ogni insegnante ha dell’apprendimento, di come le persone apprendono, di come, conseguentemente si insegna, ma anche di cosa gli studenti dovrebbero imparare. Se si è convinti che si apprenda meglio avendo un ruolo (cognitivamente) attivo, che lo scopo dell’apprendimento sia dare un significato a ciò che si è appreso, che gli studenti dovrebbero saper usare le conoscenze (e non solo memorizzarle) e di trasferirle in differenti contesti, che si dovrebbe imparare a collegare tra di loro le conoscenze acquisite, che si debba apprendere per uno scopo (e non imparare per imparare) ….. allora non ci resta altro che lavorare all’interno di ambienti di apprendimento, contesti didattici aperti, ricchi di risorse, dove lo studente è attivo, usa strumenti, elabora informazioni, interagisce … (rielaborato ad Wilson). Ambienti di apprendimento tanto come metafora per il contesto didattico nel suo insieme ma, anche, per il libro di testo in quanto tale. Magari attingendo alle “architetture per l’apprendimento” di Schank come basi concettuali. Più che monolitici “libri di testo”, tante risorse “liquide”, aggregabili reativamente, manipolabili da insegnanti e studenti, dove l’interazione, la collaborazione, la costruzione siano elementi fondamentali del setting didattico. Con una “visione” di lungo periodo, mi piace pensare che il luogo di sviluppo delle “risorse” didattiche (preferisco la prospettiva “risorse”, che quella di “libro di testo”) sia quello delle reti di insegnanti più che quello degli editori."


Non solo sottoscrivo, ma lo faccio con doppia e triplice linea. Una delle poche certezze con cui ho chiuso il lavoro di ricerca del triennio di dottorato è stata, anche e soprattutto dopo aver sentito insegnanti e presidi, la forte esigenza manifestata da tutti gli attori di una partecipazione diretta nel lavoro didattico di integrazione tra tecnologie e curricoli. Soprattutto, la possibilità di scambio di idee ed esperienze professionali è considerata come una forte spinta al miglioramento delle pratiche di insegnamento. A questa si lega, quindi, una diffusa necessità di formazione/informazione che, a mio avviso, può essere costituita, in primis, dalle reti di insegnanti e formatori in generale, in cui questi dialogano tra loro. Le comunità di pratica dei docenti potrebbero diventare un "sistema permanente" di formazione professionale continua, adottato, perché no, anche in maniera ufficiale dal Ministero per il tramite dei suoi Uffici Scolastici Regionali. Sarebbe possibile, mi chiedo, tentare di seguire questa strada? Certo non è molto battuta, ma, rifacendomi a una delle espressioni più belle di Robert Frost, è questa la via giusta da percorrere.

Un brindisi finale di buon compleanno all'email che ha, di recente, compiuto 40 anni. La cosa sembra essere passata un pò in sordina ma, che ci piaccia o no, la nostra vita, il nostro lavoro, il nostro modo di studiare e persino le nostre relazioni non sono mai state/i più la stessa cosa dopo la sua diffusione di massa, tanto da far pensare, a chi ama modelli e categorizzazioni facili, di poter dividere la recente storia contemporanea in due fasi: prima e dopo di "lei".

Appunti e segnalazioni conclusive:

- tre pubblicazioni che consiglio a chi si interessa di tecnologie e di come queste possono essere applicate nella didattica e anche in quella delle lingue: Le insidie dell'ovvio. Tecnologie educative e critiche della retorica tecnocentrica, di Maria Ranieri, ETS, 2011 (qui una breve recensione e qui l'indice del volume); Principi di comunicazione visiva multimediale, di Antonio Calvani, Giovanni Bonaiuti e Antonio Fini, Carocci, 2011 (qui una breve recensione); Linguistica e didattica delle lingue e dell'inglese contemporaneo. Studi in onore di Gianfranco Porcelli, a cura di Bruna Di Sabato e Patrizia Mazzotta, Pensa Multimedia, 2011 (la recensione del testo è sul numero 8-9 del 2011 della Rivista "Scuola e Lingue Moderne - SeLM", p. VII-VIII del Dossier BLE n. 20), soprattutto l'ultima parte del volume che è dedicata a "Nuove tecnologie e didattica delle lingue";

- il "Manifesto for teaching online", via Stephen Downes, è un progetto di docenti e ricercatori dell'Università di Edinburgo con lo scopo di stimolare idee sull'uso creativo dell'insegnamento con tecnologie di rete; è stato anche predisposto un apposito blog dove discutere sul tema;

- un'interessante tabella di Helen Barret che incrocia tool per l'e-portfolio e obiettivi di realizzazione; è un ottimo spunto per chi intende iniziare a provare a realizzare il proprio portfolio elettronico/digitale, senza dimenticare i suoi ormai storici modelli per l'e-portfolio;

- il numero 77 (gennaio/febbraio 2012) di Form@re, dedicato al progetto "Wironi", nato nel 2005 presso il Dipartimento di Scienze della Comunicazione dell’Università di Siena in collaborazione con il Comune di Monteroni d’Arbia (Siena), "concepito per favorire dei percorsi di apprendimento sociale fra pari attraverso i processi di imitazione ed emulazione, sia nei luoghi di fruizione dei contenuti erogati da Wironi che nei luoghi di produzione di alcuni dei suoi contenuti";

- la timeline di Facebook del profilo del New York Times, che offre una serie di foto e prime pagine per ognuno dei gloriosi 161 anni di storia della popolare testata americana.
    

mercoledì 22 febbraio 2012

La scuola che si racconta

Breve post per segnalare la bellissima iniziativa "Storie di didattica: la scuola che si racconta", che nasce come progetto formativo e di sviluppo professionale per i membri del fortunato network "La scuola che funziona". Il progetto intende prendere spunto dalle pratiche reali di insegnamento (narrazioni / storie) con lo scopo di far accrescere lo sviluppo professionale dell'insegnante che "fa leva sulla riflessione intorno alla propria (ma anche altrui) pratica. Attraverso la narrazione l'insegnante 'studia' se stesso (non un libro) ed 'insegna' a se stesso (non è insegnato da terza persona)" (citazione dal portale ufficiale). Il progetto si inserisce nel solco di una recente corrente teorica denominata "Il pensiero degli insegnanti", in cui il profilo del docente si caratterizza per un netto passaggio dall'expertise tecnica alla pratica riflessiva come nuova identità professionale. L'insegnate diventa ricercatore e non agisce in solitudine, ma dialoga con gli altri (costruendo e partecipando a comunità di pratica in presenza o virtuali, come nel caso di specie), perché il discorso, per essere definito vivo, ha bisogno di essere comunicato e condiviso.
In basso il video di descrizione del progetto. Plaudo all'iniziativa e la sottoscrivo: docenti, formatori, educatori, accorrete numerosi a raccontare le vostre storie.

Il progetto ha anche una pagina Facebook.



Segnalazione n. 2: finalmente Helen Barret si è dedicata a sviluppare un esempio di e-Portfolio anche per le lingue, utilizzando "Google sites". Il tool contiene strategie per documentare le abilità di produzione e ricezione scritta e orale tramite l'uso di tecnologie di rete. Il lavoro prevede un affinamento progressivo e merita di essere seguito, in quanto questo filone può avere una serie di interessanti sviluppi nella glottodidattica.

Segnalazione n. 3: anzi questa è un'autosegnalazione e un appunto personale. Tramite Caterina Policaro, segnalo un post sulle parole "Web 2.0 e social media". Si tratta, per me, di un ulteriore conforto sul fatto che forse non ero così fuori strada quando, all'inizio del percorso di dottorato, "incautamente" sostituii, oralmente e per iscritto, l'espressione "Web 2.0" con "social web" (intitolando, in questo modo, anche un paragrafo della tesi).
       

mercoledì 18 gennaio 2012

Internet on strike

Questo post è breve e solo per segnalare che aderisco allo sciopero, indetto per oggi, 18 gennaio 2012, per protestare contro il disegno di legge del Governo Obama Stop Online Piracy Act (Sopa) non oscurando il sito, ma cercando, nel mio piccolissimo, di contribuire a diffondere la consapevolezza su questa manovra illiberale e antidemocratica. Segnalo, per caprine di più, l'articolo dell'amico Ernesto con tutti i rimandi e i link per approfondire e l'articolo di Repubblica.it. Una pagina per tutte: la homepage di Wikipedia.

mercoledì 11 gennaio 2012

Leggo, rileggo, posto, non posto

Buon proposito per il 2012 e per gli anni a venire (Maya e profezie varie permettendo). Raccolgo, sottolineo e sposo in pieno, dalla prima all'ultima lettera, quanto contenuto in un recente post di Caterina. Nonostante abbia scritto quasi niente nell'ultimo anno (basta vedere l'archivio), ho letto molto, moltissimo, soprattutto dai feed di "Google Reader", ma non solo. L'ho fatto per interesse, per lavoro, per piacere, per approfondimenti, poco per "ricerca", insomma per i motivi più disparati. L'ho fatto sempre, quasi quotidianamente, tra una cullata e un'altra, mentre la bambina dormiva, in tarda serata, nella tranquillità del silenzio pomeridiano, durante i giorni di festa. Ci tengo a affermarlo con forza (e aggiungo pure la doppia sottolineatura): i blog non possono e non devono morire. E' vero che i social godono di percentuali "bulgare" in termini di presenza e presenze, ma come dice Caterina, è dai blog che parte tutto. Post lunghi, corti, articolati, logorroici, pillole; nessuno potrà distogliermi dall'idea che i blog rimangano ancora lo strumento più efficace per affermare il democratico diritto di ogni singolo di poter esprimere, in modo compiuto s'intende, il proprio pensiero. Per questo, il mio buon proposito parte con questo post: riprendermi il mio blog, soprattutto per il piacere che mi dà di scrivere e poter dire (uso il temine "dire" non a caso) al mondo le mie sensazioni, i miei dubbi, i miei approfondimenti, le mie storie. Questo avviene dopo mesi di "rigetto" psico-fisico causato dalla genesi del blog stesso che vedeva la luce come spazio in cui annotavo, descrivevo, appuntavo, mano a mano che prendevo coscienza di una serie di fenomeni legati alla ricerca per il dottorato. Discussa la tesi, ho avuto quello che definisco "fisiologico rilascio delle membra" (e aggiungo di una parte dei neuroni). Dopo tre anni, decine e decine di libri e centinaia fra post e articoli letti, analisi statistiche di questionari, il mio cervello ha, consapevolmente, staccato la spina. Ogni volta che tentavo di entrare nell'area utenti per scrivere, tac scattava, parafrasando e amplificando Krashen, "il filtro affettivo". Me lo aspettavo. Mi succedeva a scuola (dopo una interrogazione ardua o un compito in classe sfibrante), all'università (dopo tutti gli esami), durante la pirotecnica ricerca di un posto di lavoro (dopo ognuno dei tanti concorsi a cui ho partecipato). Era inevitabile che accadesse anche per il PHD. In compenso, però, e in modo abbastanza prevedibile, aggiungo, sono stato molto attivo sul mio profilo "Feisbuc" (sempre da Caterina), con una concreta avversione per le note (tranne in alcuni casi molto particolari, come il battesimo di mia figlia). Ora, però, mi sono ricaricato, forse non del tutto, forse sono al 50/60 %, ma tanto basta per riprendere. Per questo, sto lavorando anche alla re-impostazione del blog che avrà una portata più ampia oltre ai temi di didattica, formazione e tecnologie. L'unico inghippo, per ora, è il titolo. Ci sto pensando, ma, ovviamente, qualunque suggerimento è ben accetto.

E ora i consueti appunti ("vizio" che non perderò):

- tramite Gianni Marconato, segnalo "Didasfera", (dalla homepage del sito) "ambiente di apprendimento, una biblioteca navigabile, una mappa semantica, un radar culturale (...), un’agenda ma pure un network, un diario di bordo, uno strumento di condivisione e altro ancora", e l'intervista ad Antonio Casilli su relazioni digitali, amici e nuovi legami Internet, condita con le annotazioni puntuali, sempre di Gianni Marconato;

- una serie di articoli su esperienze relative al progetto "Cl@ssi 2.0" contenuti nella rivista online "Bricks";

- il numero di aprile/maggio della rivista online Form@re interamente dedicato al microblogging e alle implicazioni nella didattica; così come un articolo del Corriere della Sera sull'utilizzo di Twitter nelle scuole francesi;

- il post di Richard Byrne su alcune attività che si possono realizzare con Edmodo, il sistema di microblogging appositamente programmato per insegnanti e studenti.