sabato 5 giugno 2010

A proposito di buona educazione

E' sempre stata una prassi quando ero bambino (e poi anche dopo), nella mia famiglia e credo in moltissime altre, ascoltare le raccomandazioni dei "grandi" prima di andare da qualche parte, soprattutto se dovevamo avere a che fare con "altre persone". Ci sembravano petulanti, noiose, ripetitive, inutili. Qualcuna la rispettavamo, qualcun'altra no, sperando di sfuggire agli occhi vigili dei controllori e godendo del gusto peccaminoso del proibito: disubbidire a ordini metodicamente impartiti. Crescendo, ovviamente, ci siamo resi conto dell'importanza di alcuni atteggiamenti da tenere in società, non quella dei romanzi di Tolstoj o di Balzac, ma la comunità in cui viviamo, lavoriamo, ci divertiamo, ma soprattutto dove abbiamo la fortuna di confrontarci, quotidianamente, con altre "unità carbonio" (concedetemi questa licenza dal film Star Trek del 1979), dotate di una loro intelligenza, di una loro visione del mondo, di una loro sensibilità: insomma del loro carattere. Alla fine ci siamo resi conto della crucialità del concetto di "rispetto", anche se, con buona pace della coerenza, lo pretendiamo nei nostri confronti, ma fatichiamo molto a concederlo a chi ci sta di fronte. Scrivo ciò dopo aver letto, almeno tre volte, il bellissimo post di Sergio Maistrello. Commentando lo scritto, ho promesso che avrei diffuso, da questo blog, le sue parole, invitando a leggerle anche nelle scuole; magari dal prossimo settembre visto che ormai l'anno si è virtualmente concluso. Sergio ci fornisce un decalogo, in versione beta, su ciò che implica scrivere, condividere e vivere online. Le Rete offre immense opportunità, ma spesso dimentichiamo che Internet non è una zona franca dove è sufficiente avere un avatar, uno pseudonimo, una faccia qualunque per potersi dissimulare e, quindi, calpestare, magari non intenzionalmente, le regole più elementari della vita sociale. Cito ancora Sergio: "ci sono milioni di persone, là fuori, che pensano di guidare un triciclo al parco giochi e non si rendono conto di essere invece al volante di un bolide in autostrada. Possono farsi male e possono fare del male agli altri. Nella più assoluta buona fede, sono inconsapevoli della dimensione in cui stanno operando e delle ripercussioni delle loro azioni sociali. Strumenti come Facebook richiedono ai loro utenti di maturare in pochi giorni un’alfabetizzazione alla socialità digitale che noi più fortunati pionieri della socialità digitale abbiamo invece avuto modo di sviluppare nel corso degli anni". E' maledettamente vero. In questo blog si è sottolineata più volte l'importanza di un'educazione consapevole alle tecnologie. Soprattutto per quanto riguarda quelle della "comunicazione", cioè tutti i mezzi che permettono un contatto trasversale e immediato con chiunque e una condivisione quasi illimitata. I link si incrociano in una spaghetti junction inestricabile con il risultato di ingigantire, ogni secondo di più, l'immenso ipermedia che è la Rete o meglio che sono le reti, comprese quelle di interazione sociale che si creano e si disgregano con estrema facilità. Molti hanno teorizzato di una frantumazione dei confini geografici degli Stati a vantaggio di un'umanità trasversale, costituita da masse che si aggregano e si spostano in continuazione, seguendo rotte variegate. In questo quadro, mi sento di sottolineare con grande convinzione, tra i dieci spunti, il nono che così recita: "Sei nodo in una rete, anello in una catena. Ogni tua azione ha una conseguenza, seppur minima, a livello di sistema. Sei libero di pensare, esprimere e condividere quello che ti pare: quello che ci si aspetta da te è che sia quanto meno un’azione consapevole e ponderata". Di conseguenza, tutti i piccoli ingranaggi della catena hanno la propria dignità e un potere rilevante. Il riferimento di Sergio mi fa venire in mente una celebre variazione al tema del cosiddetto effetto farfalla: "il minimo battito d’ali di una farfalla è in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo". Nel nostro caso specifico, il concetto può essere applicabile a un anonimo individuo (uno come noi), chiuso nella sua stanza, in uno sperduto paesino dei nostri monti che, in pochi clic, entra in contatto con centinaia, migliaia di persone, con la possibilità di scrivere qualunque cosa in grado di influenzare pesantemente il loro modo di essere e di vivere. Ecco perché, e lo ribadisco ancora una volta, è necessario che le Istituzioni si concentrino sul mondo frequentato dai nativi digitali e sulle loro abitudini che, è bene ricordarlo sempre, sono molto, molto distanti dai modelli educativi e comportamentali attuali. Insisto e continuerò a insistere sul ruolo strategico della Scuola che deve tornare a essere palestra di vita e di speranza. I ragazzi non hanno bisogno di magistri, bensì di insegnanti capaci di guidarli in maniera costruttiva e aiutarli nel padroneggiare le possibilità offerte dagli attuali strumenti a disposizione. Guardando al futuro e non ripiegandosi sul presente. Le nozioni possono essere apprese in molti contesti e in molti modi; le strategie migliori "per imparare" in maniera proficua, produttiva e continua, no. C'è bisogno di questo. La ricetta non è complicata e il fiume da guadare non è poi così profondo. Ci vuole coraggio. Ce lo chiedono i nostri figli.