sabato 30 gennaio 2010

Usiamo davvero le tecnologie?

Nel lontano 1979 (uso la parola lontano, in quanto 31 anni sono molti in termini di evoluzione tecnologica e approcci didattici), Olson, nel saggio “Linguaggi, media e processi educativi”, sottolineava la necessità di un insegnamento-apprendimento multimediale. Dal suo punto di vista, i mezzi della comunicazione e dell’istruzione non sono vie opzionali per perseguire lo stesso scopo, ma vie ottimali per raggiungere scopi diversi. Nonostante i diversi lustri trascorsi, il suo pensiero mi sembra attuale nella didattica di qualunque disciplina e, soprattutto, per quanto riguarda le lingue straniere. In molti casi, le tecnologie e i computer sono entrati nelle scuole di ogni ordine e grado in maniera dirompente e gli insegnanti hanno dirottato nei laboratori molte delle attività ordinarie che si svolgevano in classe: dal gesso alla scrittura su schermo proiettata su un muro, dai quaderni ai singoli elaborati su file da parte degli allievi, dalle enciclopedie polverose delle biblioteche di istituto a Internet e/o Wikipedia et alii. Quindi, volendo parafrasare Olson, i computer sono diventati delle vie opzionali per raggiungere lo stesso scopo (perché mi devo imbrattare di gesso quando posso scrivere o far scrivere su una tastiera?). Ovviamente la colpa non è del tutto attribuibile agli insegnanti o ai ragazzi. Manca, infatti, nel nostro sistema di istruzione e formazione, una seria analisi sui presupposti pedagogici nell’utilizzo delle tecnologie come mezzi per raggiungere obiettivi educativi. La domanda o le domande che ci si deve porre non sono, a mio avviso, “Che cosa fa questa tecnologia o questo strumento?” oppure “Che cosa posso fare con questa tecnologia o questo strumento?”, bensì “Che cosa (come) posso imparare / insegnare usando (con l’aiuto di) questa tecnologia o questo strumento?” oppure “Come posso usare questa tecnologia o questo strumento per imparare / insegnare?”. Sembrano frasi banali, ma non lo sono. Un approccio di questo tipo capovolgerebbe completamente la prospettiva, ponendo la didattica e l’apprendimento in una posizione predominante, lasciando alle tecnologie il ruolo di facilitatori o catalizzatori. Anni fa le nostre scuole hanno ricevuto ingenti finanziamenti per attrezzare dei laboratori informatici e/o linguistici. Mi piacerebbe conoscere, oggi, la reale percezione che dirigenti scolastici, docenti, allievi, genitori, personale ATA hanno di questi strumenti. Li sentono integrati nella normale attività didattica quotidiana o sono solo degli “attrezzi” di svago e da utilizzare “per realizzare qualcosa da mostrare al sindaco o all’assessore di turno quando vengono a farsi un giro nella nostra scuola?”. Sto seguendo con interesse l’evolversi del Progetto Cl@assi 2.0, sperando che non si risolva in un ennesimo canale per “obbligare” le scuole a rinnovare il loro parco tecnologico, magari acquistando una o più lavagne interattive multimediali (LIM), con il rischio che il “giocattolo”, dopo l’entusiasmo iniziale, passi di moda e faccia la fine dei computer nei laboratori che, giorno dopo giorno, si ricoprono della polvere dell’indifferenza didattica. Olson, comunque, sosteneva anche che i mezzi della comunicazione e dell’istruzione si rapportano ad altrettanti modi di essere intelligenti: le diverse intelligenze (Gardner) possedute dall’individuo sono legate alle specifiche abilità richieste e prodotte dai singoli media, così come esistono diverse culture nelle diverse collettività umane a seconda dei media prevalenti utilizzati (fonte: Varisco, 2000). Anche questo mi pare un aspetto cruciale che merita di essere approfondito, poiché non va mai dimenticato che il fine dell’insegnamento non è stupire i ragazzi con effetti speciali (cito, impropriamente, lo slogan di una pubblicità cult dei mitici anni ‘80 del secolo scorso), quanto piuttosto quello di prepararli a un apprendimento permanente che non si esaurisce all’inizio del mese di giugno o dando le spalle al professore barbuto e alieno in un’aula universitaria dopo aver conquistato la sua agognata firma sul libretto, ma prosegue ogni momento, ogni giorno, ovunque.