mercoledì 13 gennaio 2010

Digital Natives vs Digital Immigrants

Il tema è noto ed è uno dei più interessanti, a mio avviso, per chi si occupa di formazione, a tutti i livelli, anche e forse soprattutto per chi opera nel campo della didattica delle lingue straniere. I termini della questione sono ormai ampiamente conosciuti: Marc Prensky, in un articolo del 2001, conia i termini “Digital Natives” (“Nativi Digitali”, d’ora in poi definiti “nativi”) e “Digital Immigrants” (“Immigrati Digitali”, d’ora in poi definiti “immigrati”), distinguendo tra i primi, nati dalla fine degli anni ’80 e gli inizi degli anni ’90 in poi, che hanno un rapporto con la tecnologia, di norma, più immediato e intuitivo di quello delle generazioni precedenti, e gli immigrati che hanno dovuto, o dovrebbero, imparare un nuovo linguaggio. I nativi nascono già interattivi, propensi all'ipertesualità e multitasking, capaci cioè di utilizzare vari mezzi passando, indifferentemente e con naturalezza, da uno all’altro. Tonino Cantelmi, docente di psichiatria dell'Università Gregoriana di Roma e presidente dell'Associazione italiana psicologi e psichiatri cattolici, in un’intervista al Corriere della Sera, spiega di aver esaminato un vasto campione di bambini, nati a partire dal 2002, concentrandosi sulle caratteristiche dei figli della “generazione di mezzo” e nipoti dei “predigitali”. E’ venuto fuori che “questi piccoli hanno un apprendimento più percettivo e meno simbolico, e sono dotati di abilità viso-motorie eccezionali. Una volta adulti saranno spesso uomini e donne incapaci cioè di riconoscere le emozioni interne, ma abilissimi a rappresentarle”. Appare evidente come le implicazioni di questo discorso in campo didattico siano enormi . In un dibattito dal titolo “Nativi digitali 2.0, la scuola li annoia”, tenutosi il 20 marzo 2009 presso la Fast di Milano, Paolo Ferri dell’Università Milano-Bicocca utilizza un efficace paragone per mostrare il suo punto di vista sui limiti della scuola di oggi: “Quando negli Anni Ottanta ci si recava nella Germania dell’Est, avevamo la sensazione di tornare indietro di trent’anni. È la stessa sensazione che hanno ogni giorno i nostri figli quando entrano a scuola. Noi abbiamo di Londra l’idea che ce ne ha dato per anni Sandro Paternostro. Loro passeggiano nelle sue strade senza esserci mai fisicamente stati. Noi incontravamo gli amici al bar, loro vanno su Facebook”. Durante lo stesso incontro, a proposito dei metodi di insegnamento più adatti, Gianni Degli Antoni dell’Università Statale di Milano, padre dell’informatica milanese, propone una soluzione e cioè: “Insegnare loro coinvolgendoli nel loro terreno. Inutile far loro comprare costosi volumi di Storia, ma bisogna far scrivere a loro stessi la Storia, sollecitandoli ad andare a trovare le fonti su Internet. Sbaglieranno anche, ma è l’unico modo per far loro costruire un pensiero critico”. Inoltre, è stato osservato (Kvavik, 2005) che i nativi, in quanto soggetti esperti o “nuovi saggi” (Prensky, 2009), usano le tecnologie di rete soprattutto per motivi privati, personali e sociali e che concentrano la loro attenzione sul processo e sui risultati dello scambio comunicativo, piuttosto che sulla precisione espressiva e linguistica. Di seguito accludo una slide riferita a un illuminante lavoro della ricercatrice canadese Diana Oblinger (fonte: “Eli” di Elisabetta Cigognini) che riporta una sintesi di alcuni dati sul rapporto tra giovani digitali e tecnologie, in particolar modo di rete.




Ancora, girovagando sulla rete e imbattendomi nella definizione di “Nativo Digitale” tratta dalla sezione italiana di Wikipedia, ho trovato il link del progetto “Digital Natives” condotto da un team di ricercatori provenienti dal “Berkman Center for Internet & Society” di Harvard e dal “Research Center for Information Law” dell’Università di San Gallo in Svizzera, il cui obiettivo è indagare e tentare di fornire delle chiavi interpretative e di supporto alle giovani generazioni durante la loro “crescita” nella società digitale e, di conseguenza, comprendere le dinamiche e le caratteristiche di cosa realmente significhi essere dei “nativi digitali”. Alla luce di quanto detto, mi sembra necessaria una riflessione che parta dal basso e cioè da tutti gli operatori della formazione, ma che arrivi in alto tra chi ha il compito istituzionale di programmare e pensare la scuola e la formazione del futuro. Non si contano, ormai, i progetti o le sperimentazioni sull’utilizzo delle tecnologie nell’istruzione, a tutti i livelli. Credo che sia arrivato il momento di cambiare metodo e approccio all’insegnamento, perché è l’apprendimento che lo richiede: bisogna integrare il mondo che i ragazzi vivono fuori dalle mura scolastiche in maniera definitiva all’interno dei curricoli. Un tempo vi erano i pallottolieri, poi sostituiti dalle calcolatrici, poi dai PC. E’ il caso che a scuola entrino i blog, i social network, non soltanto in termini di strumenti, ma soprattutto di filosofia e di pratica pedagogica nell’utilizzo degli stessi. E smettiamola, infine, di usare l’espressione “nuove tecnologie”. Saranno forse sempre nuove per noi immigrati, ma non certo per i nativi. Per loro non sono né migliori né peggiori, né nuove ne vecchie rispetto ad altre. Esistono, semplicemente, e non saprebbero immaginare un mondo senza di esse. La mia nipotina di due anni, Camilla, tratta l'iPhone del padre come se l'avesse sempre conosciuto. Le dita paffutelle si muovono con sicurezza e le basta scoprire una prima volta una funzionalità per ripeterla, successivamente, con precisione. Ecco, il futuro cammina più rapidamente delle parole e la piccola bambina viaggia a una velocità che a noi immigrati era sconosciuta alla sua età. Prima ce ne renderemo conto e meglio sarà per tutti. Mi sono dilungato un po’ troppo, ma si sarà capito che il tema mi appassiona molto, anche dal fatto che alcuni riferimenti all’argomento sono presenti fin dal primo post di questo blog. Concludo consigliando un interessante filmato di una delle trasmissioni di Current TV, in cui viene analizzato in maniera puntuale il rapporto tra i nativi digitali e i loro genitori, soprattutto in termini di modalità di comunicazione e apprendimento, con evidenti ricadute sul piano della didattica e della formazione (ho provato a inserire il filmato direttamente, ma impiega molto tempo per caricarsi, dura infatti circa 24 minuti. Per questo motivo ho inserito direttamente il link alla fonte web).